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Paolo Veronese: la magnificenza decorativa

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“Nui pittori […] si pigliamo licentia, che si pigliano i poeti e i matti […]. Se nel quadro li avancia spacio il l’adorno di figure come mi vien commesso et secondo le invenzioni.”

(Veronese, 18 luglio 1573, si difende davanti al tribunale dell’Inquisizione)

Paolo Veronese, Sposalizio mistico di Santa Caterina, 1547

Paolo Veronese, Sposalizio mistico di Santa Caterina, 1547

Paolo Caliari, detto il Veronese dalla sua città natale, fu uno dei protagonisti del secondo rinascimento veneziano e, come altri interpreti di questa particolare epoca, basti pensare a Tiziano o a Jacopo da Ponte, venne alla luce in uno dei centri minori della Serenissima, Verona appunto, città questa che diede un’impronta indelebile alla sua pittura.

Paolo nacque nel 1528 nella contrada di San Paolo, quinto figlio di Gabriele e Caterina. Non ci risulta noto il cognome della famiglia: solo nel 1555 Paolo firmerà il contratto per la Pala di Montagnana con il nome di Caliari, forse assumendolo da un suo committente.

Paolo Veronese, Deposizione nel sepolcro, 1548-1549

Paolo Veronese, Deposizione nel sepolcro, 1548-1549

La formazione artistica del Veronese avvenne in una città culturalmente vivace ed attiva, dove convivevano diverse tradizioni: l’imperante lezione arcaicizzante del Mantegna, rinnovata dagli stimoli belliniani e giorgioneschi, unita alla nuova moda manierista giunta attraverso la reinterpretazione dei continuatori di Michelangelo e Raffaello, attivi nelle vicine città di Mantova e di Parma.

Nelle sue prime prove veronesi, è evidente una decisa presa di posizione verso la più moderna corrente del manierismo: l’enfatica robustezza delle figure, la luminosità dei colori e i particolari di grande raffinatezza, denunciano, infatti, un’attenta lettura e una conoscenza diretta dell’opera di Giulio Romano, attivo a Mantova, e di Correggio e Parmigianino, attivi a Parma.

Paolo veronese, Sacra famiglia e santi (Pala Giustiniani), 1551

Paolo veronese, Sacra famiglia e santi (Pala Giustiniani), 1551

Nei primi anni Cinquanta, l’opera del Veronese risultò oramai matura per poter affermarsi nella prestigiosa scena veneziana: la prova d’esordio, datata 1551, sarà la pala della Cappella Giustiniani nella chiesa di San Francesco della Vigna.

L’attività veneziana si affiancherà alle intense commissioni in terraferma, dove l’artista si apprestava all’opera di decoratore a fresco di ville nobiliari.

La più celebre tra le imprese decorative di Paolo fu, senza dubbio, quella realizzata, tra il 1560 ed il 1561, a Maser, presso Asolo, per la villa dei fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro.

La villa era stata costruita da Andrea Palladio, tra il 1554 ed il 1560, trasformando un vecchio palazzo medioevale, di proprietà della famiglia, in una magnifica residenza di campagna atta alla contemplazione intellettuale e allo studio delle arti.

Paolo Veronese, Giustiniana Giustiniani con la nutrice, 1560-1561, particolare, Villa Barbaro di Maser, Sala dell'Olimpo

Paolo Veronese, Giustiniana Giustiniani con la nutrice, 1560-1561, particolare, Villa Barbaro di Maser, Sala dell’Olimpo

I fratelli Barbaro si mostrarono, infatti, dei committenti colti e raffinati: Daniele, illustre umanista, appassionato di musica e di astronomia, fu il primo editore a Venezia dell’Architettura di Vitruvio, mentre Marcantonio, seppur dedito alla carriera politica, era un amante della letteratura ed uno scultore dilettante.

L’ambiente in cui Veronese si trovò a prestare la sua opera fu dunque fecondo di stimoli e di finissime sollecitazioni culturali. Il tema degli affreschi, molto probabilmente suggerito dai dotti proprietari, era un tema unitario volto ad esaltare l’armonia universale del cosmo, retto dalla divina sapienza, che si esprimeva attraverso amore, pace e fortuna.

Paolo Veronese, Gentiluomo di ritorno dalla caccia (presunto autoritratto), 1560-1561, particolare, Villa Barbaro di Maser, ultima sala a est

Paolo Veronese, Gentiluomo di ritorno dalla caccia (presunto autoritratto), 1560-1561, particolare, Villa Barbaro di Maser, ultima sala a est

In questa impresa, l’artista dimostrò una oramai raggiunta maturità di espressione e la capacità di creare un ambiente decorativo che, seppur carico di guizzi illusionistici, si adeguò perfettamente alla chiarezza formale degli interni palladiani, dando vita ad un unicum decorativo di ineguagliabile splendore.

Gli affreschi diedero prova della grande poesia decorativa di Veronese: le complesse iconografie furono rese in modo vivo e vitale, in uno sfolgorio avvolgente di luci e di colori. Il manierismo tosco-emiliano, la classica bellezza di Raffaello ed il disegno plastico di Michelangelo, qui si fusero in modo armonioso ed organico concedendo sprazzi ad un realismo più diretto e concreto.

Paolo Veronese, Decorazioni parietali, 1560-1561, particolare, Villa Barbaro di Maser, Sala a crociera

Paolo Veronese, Decorazioni parietali, 1560-1561, particolare, Villa Barbaro di Maser, Sala a crociera

La decorazione di villa Barbaro rappresentò, dunque, l’apice del grandioso linguaggio decorativo del pittore che, in seguito, si dedicò alla realizzazione di grandi teleri aventi come tema comune le Cene di Cristo.

Il fatto religioso divenne il pretesto per mettere in scena sontuose feste in costume cinquecentesco: rappresentazioni realistiche di una vita sociale di alto livello e, nel contempo, celebrazioni della ricchezza e della potenza di Venezia nel secolo del suo massimo splendore.

Paolo Veronese, Cena in casa di Simone, 1570

Paolo Veronese, Cena in casa di Simone, 1570

In questa serie di opere, l’attenzione del Veronese fu tutta protesa a ricostruire un maestoso impianto scenografico entro il quale svolgere lussuosi conviti, caratteristica questa che accomunò altre opere risalenti a questo particolare periodo.

Paolo Veronese, Convito in casa Levi, particolare, 1573

Paolo Veronese, Convito in casa Levi, particolare, 1573

Nel 1573, fu commissionata al Veronese un’Ultima Cena per il refettorio del convento dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia.

Questo dipinto destò, al suo apparire, un profondo sconcerto tanto che, il 18 luglio 1573, Paolo venne chiamato davanti al tribunale dell’Inquisizione per giustificare l’interpretazione troppo ardita dell’evento evangelico.

L’artista fu infatti accusato di aver descritto il fatto in modo irrispettoso, dimostrando un’evidente adesione alle idee riformistiche diffusesi nel Nord Europa. Pur ribadendo la libertà dell’invenzione artistica, Paolo venne condannato ad emendare la tela a sue spese: alla fine il Veronese si limitò a modificare il titolo dell’opera che divenne Convito in casa Levi.

Questa vicenda è sintomatica del clima che si stava vivendo in quel periodo nel mondo cattolico, aspramente diviso tra sostenitori delle moderne idee luterane e sostenitori della Riforma cattolica.

Paolo Veronese, Convito in casa Levi, 1573

Paolo Veronese, Convito in casa Levi, 1573

L’ultimo decennio della carriera artistica del Veronese fu segnato da una profonda e drammatica religiosità: fino ad allora egli aveva pensato le sue opere in termini di bellezza e non di verità spirituale.

Tra la fine dell’ottavo e l’inizio del nono decennio del Cinquecento qualcosa mutò radicalmente nel clima della città lagunare: la pestilenza del 1576 e i moniti del concilio di Trento del 1563, portarono a Venezia un maggior rigore espressivo e ad una più severa moralità nei costumi; il contesto culturale stava mutando e con esso anche l’opera del Veronese.

Le decorazioni eseguite in questi anni per ambienti religiosi denotano un grande rispetto per le indicazioni iconografiche fornite dal concilio di Trento: un mutamento nelle modalità espressive che si coniugò ad un’intensa partecipazione emotiva e religiosa da parte di Paolo.

Temi cristologici e temi mariani si susseguirono in queste ultime opere caratterizzate da un’estrema chiusura ideativa e da una forte rigidità inventiva: la controriforma ora dettava le regole di una nuova spiritualità.

Paolo Veronese, Cristo nell'orto, 1583-1584

Paolo Veronese, Cristo nell’orto, 1583-1584

Il 18 aprile 1588 Paolo Caliari, detto il Veronese, morì nella sua casa di san Samuele dopo una breve malattia.

Come testamento ci lasciò la sua ultima opera, San Pantalon guarisce un fanciullo, dove, oltre ai tradizionali temi del pensiero controriformistico quali la conversione ed il battesimo, notiamo la presenza del busto di Esculapio, dio pagano della medicina, ad indicare l’impotenza della scienza umana di fronte a quella morte che, presto, avrebbe sottratto per sempre l’artista al mondo dei vivi.

Paolo Veronese, San Pantalon guarisce un fanciullo, 1587

Paolo Veronese, San Pantalon guarisce un fanciullo, 1587

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